Un nuovo studio mette in luce la struttura interna dei Campi Flegrei
Tecniche avanzate di imaging sismico 3D aiutano a scoprire i segreti della caldera e a comprenderne i meccanismi
I Campi Flegrei, sorvegliati speciali dell’attività di monitoraggio vulcanica, sono ogni giorno sotto i riflettori. Negli ultimi 50 anni, l'area ha infatti sperimentato ben tre importanti episodi di sollevamento accompagnati da intensa sismicità. L'episodio più recente è iniziato nel 2005 ed è ancora in corso e ciò ha generato costante preoccupazione tra la popolazione e le autorità, rendendo urgenti valutazione del rischio sempre più aggiornate. In questo contesto la comunità scientifica costituita da geologi, vulcanologi, fisici e non solo si muove attivamente ogni anno per chiarire, attraverso moderni sistemi di analisi, la struttura interna dei Campi Flegrei.
Un recente studio, che ha coinvolto il Dipartimento di Fisica dell’Università Federico II in una collaborazione scientifica internazionale di rilievo con la Stanford University (USA), l’Université Grenoble Alpes (Francia) e l’azienda di tecnologia geofisica ALomax Scientific, ha utilizzato tecniche avanzate di imaging sismico 3D, basate combinate con esperimenti di fisica delle rocce su campioni prelevati in loco. Nello specifico le tecniche di imaging sismico sono dei metodi che ci permettono di vedere virtualmente la struttura del sottosuolo in tre dimensioni, un po' come un'ecografia o una TAC per il corpo umano, ma usando le onde sismiche!
Questo approccio integrato ha permesso di chiarire ulteriormente gli strati interni della caldera, in particolare la ricerca ha identificato tre strutture principali: Tra 1 e 2 km di profondità si trova uno strato arcuato e deformato, chiamato "caprock seal". Questo strato, spesso circa 800 metri, funge da sigillo, confinando i fluidi sottostanti. Al di sotto del caprock, tra i 2 e i 4 km di profondità, si estende un serbatoio ricco di gas (vapore e CO2) ad alta pressione. Infine, al di sotto dei 3.5-4.0 km, è stata delineata una struttura di basamento termometamorfico, ovvero un basamento di rocce carbonatiche “alterate” dal calore della sorgente magmatica più profonda. Sembra inoltre che proprio il contatto e la vicinanza con quest’ultima sia la causa dell’innesco di processi di decarbonatazione, ovvero reazioni chimiche dove in presenza di rocce carbonatiche si produce anidride carbonica e calce. L’ipotesi di questo meccanismo sembrerebbe quindi avvalorare il collegamento con osservazioni di emissioni di CO2 non magmatica che sembri costituisca addirittura il 20-40% della CO2 totale emesse dalle fumarole.

La stretta correlazione spaziale tra questo serbatoio gassoso ad alta pressione e il caprock al di sopra, proprio sotto l'area di massimo sollevamento del suolo, fornisce una spiegazione dei meccanismi alla base dell'attuale crisi. La pressione del fluido all'interno del serbatoio agisce sulla struttura sovrastante, causando la deformazione e il sollevamento del suolo con conseguente sismicità. Gli eventi sismici iniziano con bassa magnitudo lungo il caprock e, con il rilascio di fluidi e la conseguente depressurizzazione del serbatoio, migrano verso livelli più profondi, attivando faglie preesistenti lungo il bordo della caldera interna e generando terremoti di magnitudo maggiore.
I risultati dello studio indicano quindi che l'attuale fase sismica è principalmente guidata dai fluidi all'interno del serbatoio geotermico, inoltre le analisi eseguite non hanno trovato evidenza di accumulo o trasporto di magma a profondità inferiori ai 4 km. Una constatazione importante per i modelli probabilistici di pericolo vulcanico.
Tuttavia, la presenza del serbatoio gassoso poco profondo potrebbe suggerire un potenziale significativo per esplosioni freatiche che, sebbene non direttamente magmatiche, rappresentano comunque un rischio da considerare.