Sicurezza digitale, perché le nostre vite non sono a prova di hacker

Il furto dei video intimi di Stefano De Martino e Caroline Tronelli mostra quanto siano fragili i sistemi di protezione della nostra privacy. Ecco come possono avvenire le violazioni e i casi simili che hanno scosso Vietnam e Singapore.

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by Giancarlo Donadio
Sicurezza digitale, perché le nostre vite non sono a prova di hacker
Photo by Clint Patterson

 

Telecamere di sicurezza in casa diventano una finestra sul nostro privato. Le ultime vittime sono Stefano De Martino e la compagna Caroline Tronelli: alcuni  loro video intimi sono stati sottratti dal sistema di sorveglianza e diffusi online, prima su un sito estero poi su app di messaggistica come WhatsApp e Telegram. Un incubo che ha portato la Procura di Roma ad aprire un fascicolo d’indagine per accesso abusivo a sistema informatico.
Al danno personale si aggiunge quello legale: chi ha diffuso e chi continua a inoltrare quel materiale rischia conseguenze pesantissime. La normativa sulla privacy parla chiaro: la reclusione può arrivare fino a sei anni, e in casi come questo, dove la diffusione è avvenuta tramite piattaforme digitali, la pena può toccare anche i nove. Insomma, non stiamo parlando di una bravata da bar, ma di reati seri che segnano la vita delle persone coinvolte.

Come gli hacker riescono a rubare le immagini

La domanda che molti si pongono è: come hanno fatto? Secondo esperti di cybersicurezza, non c’è bisogno di magie da film di Hollywood. Spesso basta un mix di negligenza e tecnologia datata. Le telecamere di sorveglianza registrano immagini su hard disk ciclici, sovrascrivendo i file ogni 24, 48 o 72 ore. Un hacker che riesca a entrare nel sistema nel momento giusto può copiare i video e conservarli prima che vengano cancellati.
A rendere la vita più facile agli intrusi ci sono firmware mai aggiornati, protocolli di sicurezza che sembrano rimasti fermi agli anni Duemila, password deboli o addirittura lasciate uguali a quelle di default. Per i criminali digitali è come trovarsi davanti la porta di casa con la chiave infilata nella serratura.
Esistono addirittura motori di ricerca che mappano le telecamere accessibili in rete senza protezione. Nati per aiutare gli esperti di sicurezza, finiscono spesso per diventare un supermercato del voyerismo illegale. In Italia, dicono le stime, le telecamere configurate male o vulnerabili sarebbero decine di migliaia. E se il telefono che controlla l’impianto viene infettato, l’accesso può estendersi a tutta la rete domestica. Il phishing resta infine una delle armi più usate: una mail o un messaggio ben congegnato e l’utente cede inconsapevolmente le sue credenziali. A quel punto, anche i sistemi più evoluti possono cadere.

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 I casi simili nel mondo

Il furto di video intimi da telecamere domestiche non è purtroppo una novità. Nel 2023, in Vietnam, un gruppo segreto su Telegram vendeva filmati privati ottenuti proprio da impianti casalinghi violati. Bastavano sei dollari per un “pacchetto base” con scene riprese in camere da letto e bagni. Un mercato nero grottesco, organizzato come un mercatino dell’usato, dove ogni video veniva etichettato con paese di provenienza e tipologia di stanza per rendere più facili gli scambi.
Ancora più impressionante è stato il caso del 2020 a Singapore, quando una rete criminale mise le mani su oltre 50.000 telecamere domestiche. I video vennero messi online e venduti con una formula ad abbonamento: circa 150 dollari per accedere a migliaia di clip, con un archivio che superava i 3 terabyte di dati. Un vero e proprio “Netflix dell’orrore” che trasformava le vite private delle persone in materiale commerciale.
Lo stesso gruppo vietnamita, già attivo nel mercato, offriva poi un pacchetto “Super VIP” a 30 dollari. Dentro c’erano quattro anni di filmati accumulati e persino l’accesso in diretta a un centinaio di telecamere attive. Per attirare clienti mettevano a disposizione un assaggio gratuito: oltre 4.000 video e foto che includevano persino persone riprese in bagno o sulla toilette. Non mancavano, infine, i tentativi di estorsione: una volta identificate le vittime, partivano i ricatti. “Ho i tuoi video, se non paghi li pubblico online”. Tutto questo spesso originato da un errore banale, come dimenticare di cambiare la password di default del dispositivo.

I rischi digitali e come proteggersi

La storia di De Martino e Tronelli, unita a quelle di Singapore e del Vietnam, ci mostra un dato ormai chiaro: la privacy digitale è fragile, anche quando ci si affida a dispositivi apparentemente sicuri. Le telecamere di sorveglianza, pensate per difenderci, possono trasformarsi in armi a doppio taglio se non gestite con attenzione.
Proteggersi non è impossibile, ma richiede consapevolezza. Aggiornare regolarmente i dispositivi, cambiare le password con combinazioni robuste, attivare l’autenticazione a due fattori e, quando possibile, separare la rete delle telecamere da quella domestica sono passi fondamentali. Non meno importante è l’aspetto culturale: occorre imparare a riconoscere i tentativi di phishing e capire che condividere materiale privato senza consenso non è una leggerezza ma un reato grave.


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