Scienza, se la ricerca è guidata da donne l'attenzione mediatica è inferiore
Uno studio analizza 1,2 milioni di articoli giornalistici. Il risultato? I paper con firme maschili dominano il racconto (distorto) della scienza. E i motivi 'fotografano' una differenza di genere ancora irrisolta
C’è qualcosa di profondamente stonato nel modo in cui viene raccontata la scienza.
Dietro ogni scoperta, esperimento o pubblicazione, c’è un’idea di merito che dovrebbe parlare da sé. E invece, anche qui, entra in gioco un fattore che con la qualità della ricerca ha poco a che fare: il genere.
Secondo un nuovo studio pubblicato su Science Communication, i lavori guidati da uomini ricevono molta più attenzione mediatica di quelli guidati da donne. Gli autori hanno analizzato 1,2 milioni di articoli giornalistici e scoperto che i paper con firme maschili dominano il racconto della scienza: sono fortemente sovrarappresentati nel 5% dei più citati dai media, mentre quelli firmati da donne restano invisibili o confinati nelle retrovie.
«I media si trovano in un punto di passaggio cruciale», afferma Chaoqun Ni, docente all’Università del Wisconsin–Madison e autrice principale dello studio. «Se la copertura favorisce sistematicamente certi gruppi, non si tratta solo di carriere individuali: si rinforzano stereotipi su chi “ha l’aspetto” di uno scienziato».
Un circolo vizioso: meno visibilità, meno opportunità
Tra il 2018 e il 2022, Ni e il suo team hanno analizzato oltre un milione di articoli scientifici firmati da autori con base negli Stati Uniti. Solo uno su otto ha ottenuto attenzione dai media, ma anche in questo gruppo ristretto, gli studi guidati da uomini sono stati pubblicati e ripresi più spesso. Il paradosso? Nei settori più maschili — come economia o business — le donne, proprio perché rare, ricevevano una copertura leggermente superiore al previsto. Ma nei campi più equilibrati, come la sanità pubblica o le scienze sociali, la situazione si ribaltava: le ricerche femminili sparivano.
Segno che la visibilità delle donne nella scienza continua a essere percepita come eccezione, non come norma. E quando la ricerca femminile riesce a farsi strada, lo fa soprattutto su testate locali o progressiste, raramente nei grandi media nazionali o specializzati. Peggio ancora: il tono con cui viene raccontata è più spesso negativo o politicizzato. «Quando la ricerca femminile viene inquadrata in modo polemico o politicizzata, si mina la credibilità percepita delle scienziate», denuncia Cassidy Sugimoto, docente al Georgia Institute of Technology.
Chi decide cosa è “notizia”?
Dietro questa distorsione si nascondono meccanismi strutturali, più che intenzionali. Come osserva Ivan Oransky, cofondatore di Retraction Watch, i media seguono spesso le spinte promozionali di università e riviste, che decidono quali studi rilanciare con comunicati stampa.
«Se gli uomini chiedono più frequentemente comunicati stampa, l’intero processo si inclina a loro favore», spiega. Inoltre, le riviste più prestigiose — quelle con più risorse per promuovere gli articoli — tendono ad avere più autori maschi corrispondenti. Il risultato? Un effetto domino che parte dal laboratorio e finisce sulle prime pagine: più visibilità genera più citazioni, più opportunità, più potere accademico. «Piccoli bias possono amplificarsi man mano che l’attenzione cresce», osserva Yong-Yeol Ahn, ricercatore all’Università della Virginia.
Il silenzio (forzato) delle scienziate
Non è solo un problema di spazio mediatico, ma anche di fiducia. Molte ricercatrici rifiutano le interviste. Non per mancanza di tempo, ma per paura di essere giudicate, derise o molestate. Uno studio citato da Science Communication rivela che le donne indicano più spesso degli uomini molestie, commenti sull’aspetto o mancanza di fiducia come barriere nel rapporto con i giornalisti. «Le donne sono più esposte a molestie o giudizi estetici», spiega Priyanka Runwal, editor di Chemical & Engineering News. «Serve un dialogo aperto con i media: si possono porre limiti, fare domande, e se non ci si sente a proprio agio, si può sempre rifiutare di essere citate».
Non è solo questione di parità. È questione di verità.
Ogni volta che una ricerca firmata da una donna viene ignorata o raccontata male, la scienza perde autorevolezza. Il problema non è di “inclusione” o di “quote rosa”: è di verità e rappresentazione.
Finché i media continueranno a raccontare la scienza come un club di uomini, continueremo a credere che solo loro siano i protagonisti del progresso. E invece la scienza non parla con una sola voce. Avanza solo quando tutte (le voci) possono essere ascoltate.