Il primo conduttore IA di Channel 4 è un esperimento (inquietante) sul futuro dell’umanità
Un documentario rivela quanto l’intelligenza artificiale sia ormai indistinguibile dall’uomo, ma anche quanto sia pericoloso giocarci. Tra perdita di lavoro, di creatività e di coscienza ambientale
C’è qualcosa di profondamente ironico — e al tempo stesso inquietante — nel fatto che un programma chiamato Will AI Take My Job? (L’AI prenderà il mio lavoro?) abbia risposto da solo alla domanda, sostituendo il proprio conduttore con un’intelligenza artificiale. È accaduto davvero: Dispatches, storico format di Channel 4, ha mandato in onda un episodio in cui, dopo un’ora di inchieste sull’impatto dell’automazione, arriva il colpo di scena finale. Il giornalista che ha condotto l’intero programma da diverse location, Aisha Gaban, non esiste.
Era un conduttore interamente generato dall’AI, volto, voce e movimenti compresi.
«Io non sono reale. In una prima assoluta per la televisione britannica, sono un conduttore AI. La mia immagine e la mia voce sono state create con l’intelligenza artificiale», rivela la stessa Gaban al pubblico negli ultimi minuti del film.
Dietro la trovata, Kalel Productions e il marchio di moda AI Seraphinne Vallora, che hanno costruito un avatar digitale capace di muoversi e parlare con sorprendente realismo, rispettando in apparenza tutte le linee guida etiche di Channel 4.
Un esperimento spettacolare, certo. Ma anche un segnale sinistro dei tempi.
Il fascino e la minaccia dell’AI in TV
A prima vista, il progetto è un esercizio di stile, una dimostrazione di forza tecnologica.
Ma sotto la superficie, Will AI Take My Job? è una messa in scena perfetta della nostra inconsapevole resa: quella al fascino di un’intelligenza artificiale che non si limita più a semplificare il lavoro umano, ma inizia a sostituirlo, imitarlo, cancellarlo. Nel documentario, quattro professionisti — un medico, un avvocato, un musicista e un fotografo — vengono messi alla prova contro software di intelligenza artificiale. Il verdetto è lapidario: gli umani sono ancora migliori, ma l’AI è più veloce ed economica. E poiché la velocità e il risparmio sono le uniche valute che contano nel capitalismo contemporaneo, il messaggio implicito è chiaro: non vinceremo. Uno studio commissionato da Channel 4 lo conferma: il 76% dei dirigenti britannici ha già introdotto strumenti di intelligenza artificiale per sostituire attività prima svolte da persone, e il 41% ammette che ciò ha già ridotto le assunzioni. Un dato tanto "inevitabile" quanto deprimente.
Addio talento, addio arte
Eppure, la riflessione più amara arriva da un altro fronte: quello della creatività.
Come ha sottolineato il giornalista Stuart Heritage sul Guardian, «chi ha bisogno di un fotografo AI?».
L’intelligenza artificiale nasceva per liberare gli esseri umani dalla fatica, non per rimpiazzare la creatività, l’immaginazione e l’imperfezione che rendono umana l’arte. La tendenza, però, è già in atto. Dopo il caso di Tilly Norwood, l'attrice sintetica creata da un algoritmo e finita al centro di un’ondata di proteste da parte di attori e sindacati di Hollywood, l’industria dello spettacolo sembra pronta a trasformare l’intelligenza artificiale in una scorciatoia per tagliare costi e diritti. Come ha denunciato il sindacato SAG-AFTRA «Tilly Norwood non è un’attrice: è un programma addestrato sul lavoro di centinaia di artisti professionisti, senza consenso né compenso. Non ha vita, non ha emozioni, e non aggiunge nulla alla narrazione umana. Ruba, sostituisce, svaluta».
L’AI non imita il talento: lo svuota. E la TV, che un tempo costruiva carriere e identità, ora sembra pronta a cancellarle in nome dell’efficienza.
L’ipocrisia verde dell’intelligenza artificiale
C’è poi un altro paradosso, più nascosto ma forse ancora più grave: il costo ambientale. Ogni esperimento del genere — ogni «conduttore AI», ogni «modello generativo» — consuma quantità enormi di energia e acqua per alimentare i data center che lo rendono possibile. Eppure Channel 4, che da anni promuove il proprio impegno per la sostenibilità e la neutralità carbonica, ha preferito non dire quanta CO₂ ha prodotto o quanta acqua ha consumato la creazione di Aisha Gaban.
Un silenzio che pesa più di qualunque innovazione. Come ha scritto Heritage, «sarebbe stato interessante se Dispatches avesse chiuso con la conduttrice che spiegava quanta acqua è servita per alimentare il data center che l’ha generata».
Perché l’AI non è una magia eterea: è una macchina energivora, che mentre promette di salvare il mondo, lo brucia a velocità accelerata.
Il futuro che (non) vogliamo
In fondo, l’episodio di Channel 4 è un piccolo capolavoro di auto-satira: il canale mostra la minaccia, la condanna e la spettacolarizza, tutto in un colpo solo.
Come se dicesse: «Vedete? È qui che stiamo andando, e non possiamo farci nulla».
Possiamo scegliere di non sostituire la voce con l’eco, il volto con il pixel, il pensiero con il prompt.
Possiamo pretendere che l’innovazione non cancelli l’umanità e che l’etica, l’arte e l’ambiente non vengano sacrificati sull’altare dell’efficienza.