Il mondo è nelle mani di pochi: perché la nuova mappa della ricchezza globale è un campanello d’allarme
Il World Inequality Report 2026 conferma un trend ormai irreversibile: una minoranza infinitesimale concentra un potere economico senza precedenti, mentre miliardi di persone restano ai margini. Una fotografia che interpella governi, istituzioni e società civile
Mai nella storia recente la ricchezza è stata così saldamente nelle mani di così pochi. Meno di 60.000 individui – lo 0,001% della popolazione mondiale – controllano oggi una quota di patrimonio pari a tre volte quella della metà più povera dell’umanità. Questo è quello che emerge dalla pubblicazione del World Inequality Report. Dati che raccontano un mondo sempre più polarizzato, nel quale le opportunità di vita, la salute e perfino la stabilità politica vengono profondamente influenzate da una distribuzione economica squilibrata.
Un potere economico che ridisegna il mondo
Negli ultimi trent’anni, la ricchezza dei miliardari è cresciuta in media dell’8% all’anno, quasi il doppio rispetto ai tassi di crescita delle fasce più povere.La ricchezza globale non è solo una misura economica; è una lente che mostra chi ha la possibilità di influenzare i mercati, orientare le scelte politiche, sostenere o indebolire interi comparti industriali.
Non sorprende, infatti, che i ricercatori del rapporto parlino apertamente di un “potere finanziario senza precedenti” concentrato in una minuscola minoranza. Un potere capace di condizionare decisioni legislative, processi democratici e, più in generale, la qualità della vita di miliardi di persone.
La situazione appare ancora più complessa se confrontata con i dati sul reddito. Il 10% più ricco guadagna più della metà del reddito globale, mentre la metà più povera del pianeta riceve appena l’8%. Non si tratta semplicemente di un divario; è uno scarto che definisce destini.

Quando la ricchezza diventa instabilità
Secondo il rapporto, in quasi tutte le regioni l’élite dell’1% è più ricca del 90% restante combinato. Paesi come il Sudafrica, alcune economie dell’America Latina e varie nazioni asiatiche mostrano livelli di disuguaglianza estremi.Non si tratta solo di numeri: significa che intere generazioni crescono consapevoli che l’ascensore sociale è fermo, o peggio, bloccato al piano più alto.
Anche tra Paesi le distanze restano profonde: la ricchezza media dei cittadini di Nord America e Oceania è oltre tre volte la media mondiale, mentre gran parte dell’Africa subsahariana, del Sud Asia e dell’America Latina rimane molto al di sotto. In un’economia globale interconnessa, questi divari non sono solo ingiusti: rappresentano un rischio sistemico.
E l’Europa? Anche se resta la regione più eguale del pianeta, i dati del World Inequality Report 2026 mostrano un equilibrio sempre più fragile. Qui la disuguaglianza di reddito è tra le più basse al mondo: il divario tra il 10% più ricco e il 50% più povero scende da 19:1 a 10:1 grazie a un sistema di redistribuzione che non ha eguali in altre aree del globo. In nessun’altra regione, infatti, la metà più povera della popolazione riesce a tenere testa alla concentrazione del reddito del top 1%. Eppure, questa fotografia relativamente positiva nasconde tensioni profonde. La ricchezza, molto più del reddito, rimane fortemente concentrata: l’Europa è sovra-rappresentata nella fascia alta della ricchezza globale, mentre i Paesi dell’Est restano distanti dagli standard di Nord e Ovest. Allo stesso tempo, la capacità redistributiva fondata sul welfare rallenta.
Il nodo ambientale: chi inquina meno paga di più
Un dato particolarmente significativo riguarda la relazione tra ricchezza e crisi climatica. Il rapporto mostra che il 10% più ricco è responsabile del 77% delle emissioni di carbonio legate alla proprietà del capitale, mentre la metà più povera della popolazione mondiale contribuisce appena al 3%. L’iniquità economica si intreccia così con l’iniquità ambientale, creando un circolo vizioso che penalizza ulteriormente i Paesi e le comunità già vulnerabili.

Allo stesso tempo, la disuguaglianza di opportunità continua a crescere. Altro aspetto allarmante che emerge dal report è la spesa educativa pro capite: in Europa e Nord America è oltre quaranta volte maggiore rispetto all’Africa subsahariana. È una distanza che non solo descrive, ma determina il futuro delle nuove generazioni.

L’urgenza di scelte politiche decisive
Gli strumenti per ridurre la disuguaglianza esistono e sono noti. Investimenti pubblici in istruzione e salute, sistemi fiscali progressivi, programmi di redistribuzione efficaci. Ma senza una volontà politica concreta, ogni soluzione resta teorica.
La disuguaglianza non è un destino. Ignorarla significa accettare un mondo in cui la mobilità sociale scompare, la fiducia collettiva si sgretola e intere popolazioni restano intrappolate in una vulnerabilità permanente.

