Dal dagherrotipo agli smartphone, perché non possiamo fare a meno della fotografia
Nella Giornata mondiale della fotografia 2025 (la nascita simbolica rimanda al 19 agosto 1839), il dibattito è aperto. Perché scattiamo tanto, troppo (5,3 miliardi di foto al giorno) e l'invasione delle immagini finisce col depotenziare la loro forza. E poi con l'IA...
C’è da festeggiarla, celebrarla, omaggiarla. Ma c’è anche e soprattutto da chiedersi cosa stia diventando e cosa sia diventata, complice la pervasività della tecnologia e, naturalmente, la democratizzazione del medium.
Intanto, c’è da farle gli auguri: perché la fotografia nasce, simbolicamente, il 19 agosto del 1839, quando all’Académie des Sciences di Parigi venne presentato ufficialmente il dagherrotipo, il primo procedimento pratico per fissare le immagini con nitidezza e tempi di esposizione accettabili.
Tutto merito di Louis Daguerre, che a sua volta aveva raccolto e perfezionato le ricerche di Joseph Nicéphore Niépce. Sua la celebre Veduta dalla finestra a Le Gras, considerata la più antica fotografia sopravvissuta, realizzata grazie al bitume di Giudea. E dunque se oggi, 19 agosto, il mondo celebra la Giornata mondiale della fotografia è senz’altro per rendere omaggio a un’invenzione capace di trasformare in modo radicale il nostro rapporto con la memoria, con l’arte e con la realtà stessa, ma – in fondo – anche per chiedersi cosa stia accadendo e cosa accadrà.
In fondo la fotografia è un modo più sbrigativo
per fare una scultura [Robert Mapplethorpe]
Fotografo, ergo sum
Un numero su tutti: in media, ogni giorno in tutto il mondo vengono scattate 5,3 miliardi di foto. Da quando avete iniziato a leggere questo articolo, i click sono stati, approssimando per effetto, circa 600.000 mila. Ancora: in media un americano scatta 20 foto al giorno, in Europa siamo a quanto pare più parsimoniosi (4,9 al giorno). Tutto ciò si traduce in un blob indistinto di immagini che invadono i social media (Instagram è nato con questo scopo, del resto), depotenziando il valore dell'immagine, e riempiono fatalmente le memorie dei nostri dispositivi. Ma che, più di tutto, mutano profondamente il nostro rapporto con la realtà, sempre più spesso percepita attraverso gli schermi degli smartphone e dunque pericolosamente modificabile a tal scopo, come del resto testimonia la deriva dei luoghi “instagrammabili”, che siano ristoranti o destinazioni turistiche.
Fotografo e condivido, ergo sum. Per tacere, naturalmente, delle incognite legate all’intelligenza artificiale, che ci obbligano già oggi a distinguere tra una foto vera e una falsa, ma soprattutto ai dettagli artatamente aggiunti che possono fare la silenziosa differenza.
La fotografia non mostra la realtà,
mostra l'idea che se ne ha.
[Neil Leifer]
Storia di un'ascesa (e non è finita)
Tornando alle origini, da Daguerre in poi l’ascesa del medium fu comprensibilmente rapida. Nel corso dell’Ottocento, dalle lastre al collodio ai negativi su vetro, fino ai rullini flessibili introdotti da Kodak, la fotografia divenne sempre più accessibile e popolare, conquistando la vita quotidiana e aprendo la strada a una nuova forma di racconto del reale. Con il Novecento sono arrivati il colore, effetto (ai tempi) immaginifico del procedimento autocromo dei fratelli Lumière, e i movimenti artistici che trasformarono l’obiettivo in strumento poetico, come il pittorialismo, che rivendicava la fotografia quale espressione artistica al pari della pittura.
Parallelamente, la macchina fotografica si impose nel giornalismo, nella scienza, nella documentazione storica, divenendo testimone insostituibile di guerre, rivoluzioni, scoperte, momenti privati e collettivi. Ogni progresso tecnico non fece che ampliare la sua forza di linguaggio universale.
La fotografia estende e moltiplica l'immagine umana alle proporzioni di una merce prodotta in serie. Le dive del cinema e gli attori più popolari sono da essa consegnati al pubblico dominio. Diventano sogni che col denaro si possono acquistare. Possono essere comprati, abbracciati e toccati più facilmente che le prostitute. [Marshall McLuhan]
L’ultimo, la diffusione degli smartphone, è stato forse il più incredibilmente decisivo. Al punto che nel 2024 abbiamo sfiorato i due trilioni di immagini prodotto, un numero neanche immaginabile.
Di queste, il 94% di esse nasce da uno smartphone, simbolo – come si anticipava - di una democratizzazione estrema: l’atto fotografico, un tempo riservato a professionisti o a pochi appassionati, è diventato gesto quotidiano, spontaneo, spesso inconsapevole.
Ancor più spesso superfluo o inutile: che fine fanno, ve lo siete mai chieste, le centinaia di foto che scattiamo durante un concerto?
Sembra dunque fatale che la Giornata mondiale della fotografia ci inviti a riflettere non soltanto sul cammino straordinario compiuto in meno di due secoli, ma anche sul valore culturale e sociale di un gesto semplice eppure potentissimo: premere un pulsante, catturare la luce, trasformarla in memoria.
Dalle lastre argentate del dagherrotipo alle gallery (quasi) infinite dei nostri telefoni, la fotografia resta, e noi di GrandTour non possiamo che esserne testimoni, specchio fedele della condizione umana: fragile, effimera, ma costantemente alla ricerca di un frammento d’eternità.