Arte, uno studio rivela la reale funzione delle dita che indicano nei dipinti
Uno studio dell’Università di Vienna analizza con l’eye tracking il ruolo di indici e pollici nei dipinti di Caravaggio, Raffaello e Rembrandt. Mostrando come influenzino attenzione, narrazione e interpretazione delle opere
Quando entriamo in un museo e osserviamo un dipinto rinascimentale o barocco, non sempre pensiamo che qualcuno, all’interno della scena, stia dialogando direttamente con noi. Eppure accade spesso, ad esempio quando un dito teso sembra suggerirci dove posare lo sguardo. È un dettaglio quasi marginale, ma ricorrente in moltissime opere degli Antichi Maestri. Per secoli artisti e storici dell’arte hanno dato per scontato che questi segnali visivi servissero a orientare l’attenzione dello spettatore, indicando elementi chiave della storia rappresentata. Oggi, grazie alla tecnologia, questa intuizione trova una conferma scientifica.
Un’ipotesi antica messa alla prova dalla scienza
Nei dipinti religiosi, mitologici o storici, le mani che indicano aiuterebbero a individuare il fulcro della scena, il personaggio centrale o il significato simbolico dell’opera. Tuttavia, fino a poco tempo fa, questa convinzione non era mai stata verificata in modo empirico.
La svolta arriva dall’Università di Vienna, dove la ricercatrice Temenuzhka Dimova, specialista nel linguaggio dei gesti nell’arte, ha condotto uno studio nel campo della storia dell’arte sperimentale. Utilizzando la tecnologia dell’eye tracking, Dimova ha cercato di rispondere a una domanda semplice ma cruciale: cosa succede davvero allo sguardo dello spettatore quando, in un dipinto, compare un dito che indica?
L’esperimento: dipinti modificati e sguardi a confronto
Per rispondere a questa domanda, la ricercatrice ha selezionato una serie di opere del XVI e XVII secolo, firmate da artisti come Raffaello, Giorgione, Caravaggio e Rembrandt, tutte caratterizzate dalla presenza di più mani che indicano. Di ciascun dipinto sono state create due versioni: l’originale e una versione modificata digitalmente, in cui le dita erano state rimosse.
Le immagini sono state poi mostrate a due gruppi distinti di osservatori. Mentre i partecipanti guardavano le opere, un sistema di eye tracking registrava con precisione i movimenti oculari, permettendo di capire dove, quanto a lungo e in che ordine si posava lo sguardo.
Il confronto tra le due versioni – con e senza le dita che indicano – ha permesso di isolare il loro effetto specifico sull’esplorazione visiva.
Il paradosso del dito: quasi invisibile, ma potentissimo
Secondo lo studio, gli osservatori, di fronte al dipinto originale, non guardano quasi mai direttamente il dito. Nonostante rappresenti il fulcro dell’azione, rimane un elemento visivamente secondario. Eppure, la sua presenza modifica in modo profondo l’intero percorso dello sguardo.
In chi osservava le versioni originali dei dipinti aumentava l’attenzione verso i volti delle figure che indicano. Le espressioni, le emozioni e l’identità di questi personaggi diventavano centrali nella lettura dell’opera. Il dito, dunque, non dice semplicemente “guarda lì”, ma stimola una domanda più complessa: chi sta indicando e perché?
Aree richiamate e ambiguità narrative
Un altro effetto, rivelato dallo studio, riguarda le zone verso cui le dita sono dirette. Queste aree attirano maggiore attenzione quando il segnale è presente, ma non sempre vengono interpretate in modo univoco. In alcuni casi, gli osservatori confondono il bersaglio principale con elementi vicini, esplorando uno spazio più ampio di quello previsto.
Questo dato è particolarmente interessante perché mette in discussione l’idea di un controllo totale dell’artista sullo sguardo dello spettatore. Il dito non impone una lettura rigida, ma apre una possibilità interpretativa, stimolando curiosità e osservazione attenta.
Come cambia la percezione
L’effetto forse più profondo delle dita che indicano riguarda la narrazione complessiva. La loro presenza modifica il modo in cui gli osservatori collegano tra loro personaggi, oggetti ed eventi. Le relazioni narrative vengono percepite come più ricche, articolate e dinamiche. In assenza di questo segnale visivo, la scena appare più statica, meno guidata. Con esso, invece, si crea una rete di rimandi che ristruttura l’intera esperienza dell’opera, rendendo la lettura più attiva e consapevole.
Dall’arte antica alla comunicazione contemporanea
Le implicazioni di questo studio vanno oltre la storia dell’arte. Comprendere come piccoli segnali visivi influenzino l’attenzione può essere utile per i musei, per l’educazione artistica e anche per la comunicazione visiva contemporanea. Dal design digitale allo storytelling, il semplice atto di indicare si rivela uno strumento potente, capace di orientare lo sguardo senza mai imporsi in modo esplicito. Nei dipinti degli Antichi Maestri, quel dito apparentemente marginale non è solo un dettaglio iconografico, ma un invito silenzioso a guardare meglio, più a fondo, rendendo la visione dell’opera un’esperienza viva e partecipata.